IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  279/1992,
 proposto  da  Bellini Melania, Di Pasquale Riccardo, Fasanelli Luigi,
 Gibelli Andrea, Lamorgese Antonio Pietro,  Martani  Marco,  Pantalone
 Pasquale,  Rosina  Enzo,  Rossi  Roberto,  Tamburini  Giulio, Villani
 Gianfranco,  Pertile  Roberto,  Ascione  Guglielmo,   Avezzu'   Emma,
 Battistacci  Andrea,  Chiappani  Antonio, Chiriaco' Maria Antonietta,
 Cicerchia Luciana, De  Martiis  Paola,  Deantoni  Giulio,  Del  Porto
 Raffaele,  Dughi  Marina,  Macca  Benedetto,  Mirenda Andrea, Morelli
 Francesca,  Ondei  Giuseppe,  Pianta  Donato,   Piantoni   Francesco,
 Sabbadini  Gianni,  Sandrini Enrico Giuseppe, Spano' Roberto, Sparta'
 Aldo, Terzi Anna  Luisa,  Toselli  Raffaele,  Volpe  Gianpaolo,  Zaza
 Carlo,  rappresentati  e  difesi  dall'avv.  Giuseppe  Porqueddu,  ed
 elettivamente  domiciliati  presso  lo  studio  di  quest'ultimo   in
 Brescia,  via  Vittorio  Emanuale  II,  n.  1; contro il Ministero di
 Grazia e giustizia  ed  il  Ministero  del  tesoro,  in  persona  dei
 rispettivi    Ministri    pro-tempore,    rappresentati    e   difesi
 dall'avvocatura distrettuale dello Stato di  Brescia,  domiciliataria
 ex  lege  in  via Solferino, 20/C; per l'accertamento del diritto dei
 ricorrenti,  magistrati  dell'ordine  giudiziario,   all'allineamento
 stipendiale sulla posizione retributiva del collega Antonio Francesco
 Esposito  ex art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982 n. 681,
 convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869.
    Visto il ricorso, notificato il 9 marzo 1992 e  depositato  presso
 la segreteria il giorno 12 successivo, con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in-
 timate;
    Viste  le  memorie  prodotte  dalle parti a sostegno delle proprie
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato relatore, alla pubblica udienza del 26 febbraio 1993, il
 referendario M. Buricelli;
    Uditi, altresi', gli avv.ti: G. Porqueddu per i ricorrenti,  e  G.
 De Bellis per le Amministrazioni statali intimate;
    Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    I  ricorrenti  in  epigrafe,  magistrati  dell'ordine giudiziario,
 espongono di precedere, nel ruolo  di  anzianita',  il  loro  collega
 dott.   Antonio   Francesco   Esposito  il  quale,  nominato  uditore
 giudiziario  nel  1989,  all'atto  del  passaggio   in   magistratura
 ordinaria  ha  conservato,  ai  sensi  dell'art. 12, terzo comma, del
 d.P.R. 28 dicembre 1970, n.  1079,  il  piu'  favorevole  trattamento
 economico   maturato   nella   precedente  carriera  di  referendario
 parlamentare presso il Senato della Repubblica.
    Chiedono, pertanto, che - ai sensi degli artt. 4, terzo comma, del
 d.l. n. 681/1982, convertito nella legge n.  869/1982,  e  1,  della
 legge n. 265/1991, venga loro riconosciuto il diritto di percepire lo
 stesso   trattamento   economico-retributivo   goduto  dall'anzidetto
 magistrato, con la condanna delle amministrazioni alla corresponsione
 delle relative differenze retributive, con interessi e  rivalutazione
 monetaria.
    A sostegno dell'impugnativa i ricorrenti deducono, in particolare,
 che  l'istituto  dell'allineamento stipendiale - rimedio di carattere
 generale  del  pubblico  impiego,  volto  ad  evitare  situazioni  di
 squilibrio retributivo - e' conforme a princi'pi costituzionali per i
 quali,   nell'ambito  della  magistratura  ordinaria,  a  parita'  di
 funzioni  svolte  deve  corrispondere  l'attribuzione  dello   stesso
 trattamento  economico.  Soggiungono,  inoltre, che il riconoscimento
 del diritto all'allineamento stipendiale  non  trova  ostacolo  nella
 legge n. 265/1991.
    Nella  memoria  12  febbraio  1993  e  nella  odierna  udienza  di
 discussione il difensore dei ricorrenti ha poi fatto presente che  la
 disposizione  di cui all'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992,
 convertito  nella   legge   n.   359/1992,   nonche'   la   norma   -
 d'interpretazione  autentica  del  comma  citato - di cui all'art. 7,
 settimo comma, del d.l.   n. 384/1992,  convertito  nella  legge  n.
 438/1992,   recanti   l'abolizione   dell'istituto  dell'allineamento
 stipendiale, non avrebbero inciso sulla vigenza perdurante  dell'art.
 1  della  legge  n.  265/1991,  con il quale sarebbe stata confermata
 l'applicabilita' dell'istituto dell'allineamento stipendiale  per  il
 personale  di  magistratura  ed  equiparato.  In ogni caso - e' stato
 aggiunto  -,  si  tratterebbe  di  disposizioni  prive  di  efficacia
 retroattiva,  e  questo  varrebbe  anche per l'art. 7, settimo comma,
 citato, norma avente carattere  sostanzialmente  innovativo,  e  come
 tale  efficace  solo  per  il  futuro.    Una  diversa  impostazione,
 comunque, ad avviso della difesa  dei  ricorrenti  non  potrebbe  non
 ingenerare sospetti di incostituzionalita' per violazione degli artt.
 3, 36, 97, 102 e 107 della Costituzione.
    Le amministrazioni statali intimate si sono costituite in giudizio
 ed hanno controdedotto, osservando in particolare che:
      l'istituto  dell'allineamento  stipendiale  e'  stato  soppresso
 retroattivamente   per   effetto   dell'entrata   in   vigore   delle
 disposizioni  di  cui agli artt. 2, quarto comma, d.l. n. 333/1992 e
 7, settimo comma, d.l. n. 384/1992:  di  qui,  l'infondatezza  della
 pretesa fatta valere dagli interessati;
      il  ricorso,  comunque, si sarebbe dovuto egualmente respingere,
 in  considerazione  dell'applicabilita',  al  caso  in  esame,  delle
 disposizioni  di  cui all'art. 1, primo e terzo comma, della legge n.
 265/1991, preclusive all'accoglimento delle domande  dei  ricorrenti;
 nonche'  in  considerazione  della  natura  interpretativa e, quindi,
 retroattiva, delle disposizioni suddette.
                             D I R I T T O
    Nel   far   valere  la  pretesa  all'allineamento  stipendiale,  i
 magistrati  ricorrenti  premettono  di  precedere,   nel   ruolo   di
 anzianita',  il collega Antonio Francesco Esposito: detta circostanza
 e' pacifica, risultando esser stata documentalmente comprovata per la
 quasi totalita' degli interessati, e  non  essendo  stata  contestata
 dalle  amministrazioni  resistenti  per quanto attiene alle posizioni
 dei ricorrenti Di Pasquale, Lamorgese, Ondei e Spano'.
    La maturazione  delle  condizioni  necessarie  e  sufficienti  per
 l'applicazione,   in   favore   dei   ricorrenti,   dell'allineamento
 stipendiale, si sarebbe  realizzata  nel  1989,  allorche'  il  dott.
 Antonio   Francesco   Esposito   fu   nominato   uditore  giudiziario
 conservando il piu' favorevole trattamento economico  maturato  nella
 precedente  carriera  di  referendario  parlamentare presso il Senato
 della Repubblica.
    Cio' preliminarmente osservato, occorre  premettere  altresi'  che
 l'istituto   dell'allineamento   stipendiale   e'   stato  introdotto
 dall'art. 4, terzo comma, secondo periodo,  del  d.l.  27  settembre
 1982,  n.  681,  convertito  nella legge 20 novembre 1982, n. 869, ai
 sensi del quale: "al  personale  con  stipendio  inferiore  a  quello
 spettante  al  collega  con  pari o minore anzianita' di servizio, ma
 promosso   successivamente,   e'   attribuito   lo    stipendio    di
 quest'ultimo".
    Tale   disposizione,   dettata   espressamente  per  il  personale
 militare, e' stata interpretata, dalla giurisprudenza successivamente
 venutasi a formare sul punto, come principio, o rimedio, di carattere
 generale, applicabile anche ai dirigenti  civili  dello  Stato  e  ai
 magistrati,  e  idonea  a  sancire parita' di trattamento economico a
 parita' di qualifica e di anzianita' nell'ambito del medesimo  ruolo.
 In numerose pronunce si e' osservato che l'istituto dell'allineamento
 mira  ad  evitare  ingiustificate disparita' di trattamento - a danno
 del dipendente avente pari o maggiore anzianita'  -  derivanti  dalla
 conservazione di trattamenti economico-retributivi piu' favorevoli in
 capo  al  dipendente con anzianita' pari o minore rispetto al collega
 che lo precede (cfr. Cons. St., VI, 26 marzo 1990, n. 410; Corte  dei
 conti,  sez.  Contr. St., 13 luglio 1984, n. 1472, 28 settembre 1984,
 n. 1479, 7  febbraio  1985,  n.  1518;  T.R.G.A.-Trento,  174/1989  e
 321/1992;  T.A.R.  Lombardia  - Milano, I, 1054/1988; T.A.R. Puglia -
 Lecce, 315/1989; T.A.R. Sicilia - Palermo, I, 326/1989,  Catania,  I,
 640/1990; T.A.R. Lazio, I, 739/1991).
    Tale    principio,    variamente   inteso   ed   applicato   dalla
 giurisprudenza, che ne ha via via definito gli specifici  presupposti
 ed ambiti di applicazione, e' stato recentemente confermato, ma anche
 delimitato,  per  quanto riguarda il personale di magistratura, dalla
 legge 8 agosto 1991, n. 265. Nella fattispecie all'esame del Collegio
 rileverebbero il primo ed il terzo comma  dell'art.  1,  disposizioni
 che,   ad  avviso  della  difesa  delle  amministrazioni  resistenti,
 precluderebbero l'accoglimento del ricorso: il primo  comma  esclude,
 in   sostanza,   la  possibilita'  di  allineamenti  stipendiali  con
 riferimento e  in  relazione  al  "mantenimento  di  piu'  favorevoli
 trattamenti  economici  conseguiti  in settori diversi dalle carriere
 dirigenziali dello Stato o  equiparate";  il  terzo  comma,  seguendo
 l'interpretazione  che  appare  preferibile,  esclude,  "nel  caso di
 accesso a carriere di magistratura mediante concorso di primo grado",
 l'applicazione di trattamenti di maggior favore che nella  precedente
 carriera  erano  stati  a loro volta acquisiti mediante allineamento;
 esclude,  cioe',  per  la  magistratura  ordinaria,  l'estensione,  a
 beneficio  dei  magistrati  con  pari e maggiore anzianita', del piu'
 favorevole trattamento economico-retributivo eventualmente goduto dal
 collega meno anziano, all'atto del passaggio di carriera, per effetto
 dell'allineamento  stipendiale  da  quest'ultimo  conseguito  in  una
 precedente carriera.
    Nessuna   di   queste  limitazioni  riguarda,  tuttavia,  il  caso
 all'esame della sezione: non certo  ultima,  poiche'  il  trattamento
 stipendiale  di maggior favore conservato dal dott. Esposito all'atto
 del passaggio di carriera deriva  non  da  un  allineamento  ottenuto
 nella precedente carriera di referendario al Senato, ma semplicemente
 dalla  maggiore  entita'  del relativo trattamento economico, come e'
 pacifico; ma nemmeno la prima, poiche' la  carriera  di  referendario
 parlamentare   presso  il  Senato  della  Repubblica  deve  ritenersi
 (equiparata a) carriera direttivo-dirigenziale statale  (conf.  Cons.
 St.,  IV, n. 64/1985 e VI, n. 70/1987), tant'e' vero che, altrimenti,
 all'atto del passaggio di carriera non sarebbe  stato  applicato,  in
 favore  del  dott.  Esposito,  l'art.  12,  terzo  comma,  del d.P.R.
 1079/1970, concernente il mantenimento, nella nuova carriera statale,
 del  migliore  trattamento  economico  precedentemente   goduto   dal
 dipendente (a ulteriore conferma dell'assimilazione suddetta si veda,
 altresi',   l'art.  19  p.  3)  della  legge  n.  186/1982,  relativo
 all'ammissione al concorso, per titoli ed  esami,  per  la  nomina  a
 consigliere di Stato).
    In  ogni  caso,  il  presupposto  da  cui sorgerebbe il diritto al
 preteso  allineamento  stipendiale  si  e'   verificato   nel   1989,
 anteriormente,  quindi, all'entrata in vigore della legge n. 265/1991
 che, per la parte che qui interessa, non puo' ritenersi retroattiva.
    Obietta, al riguardo, l'avvocatura dello Stato, che  la  legge  n.
 265/1991  avrebbe natura interpretativa e, pertanto, si applicherebbe
 anche alle situazioni  perfezionatesi  in  data  anteriore  alla  sua
 entrata in vigore.
    L'affermazione della difesa erariale non puo' esser condivisa.
    La  disposizione  di  cui all'art. 1, terzo comma, della legge 265
 citata, appare chiaramente innovativa, risultando, come si  e'  sopra
 visto,   preordinata   -   secondo   l'interpretazione   maggiormente
 attendibile (vd. supra) - ad impedire, per la  prima  volta,  per  il
 caso   di   accesso  alla  magistratura  ordinaria,  l'estensione,  a
 beneficio  dei  magistrati  con  pari  o  maggiore  anzianita',   del
 trattamento  di  maggior  favore  goduto  dal  collega  meno anziano,
 all'atto del passaggio di  carriera,  per  effetto  dell'allineamento
 stipendiale precedentemente ottenuto.
    In  ogni  caso, affinche' una disposizione possa qualificarsi come
 interpretativa,  deve   esistere   una   diversa   precedente   norma
 suscettibile di venir (ragionevolmente) interpretata in diversi modi:
 orbene, nel caso di specie, una limitazione come quella contenuta nel
 citato   terzo  comma  non  poteva  ragionevolmente  desumersi  dalla
 normativa - asseritamente  -  fatta  oggetto  di  interpretazione  e,
 cioe', dall'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 681/1982.
    La  disposizione  di  cui  all'art. 1, primo comma, della legge n.
 265/1991, si e'  limitata,  dal  canto  proprio,  a  confermare  e  a
 circoscrivere      l'ambito     di     applicazione     dell'istituto
 dell'allineamento  stipendiale,  implicitamente   riconoscendone   la
 portata generale e la derivazione dalla fonte costituita dall'art. 4,
 terzo comma, citato.
    D'altronde,  il  legislatore  del  1991,  quando ha inteso dettare
 disposizioni  aventi  natura  interpretativa,  e'   intervenuto   con
 formulazioni esplicite (cfr. art. 1, quarto comma, legge n. 265: "per
 importo  corrispondente  ..  deve  intendersi  ..",  anche  se  dalla
 successiva  previsione  di  cui  al  sesto  comma,   concernente   la
 conservazione   ad  personam  degli  eventuali  maggiori  trattamenti
 spettanti o in godimento, conseguenti ad interpretazioni difformi  da
 quelle  stabilite  dal  quarto comma, si trae il convincimento che la
 disposizione  contenuta  in  quest'ultimo  comma  non  incide   sulle
 situazioni  pregresse). In definitiva, nessuna disposizione dell'art.
 1  della  legge  n.  265/1991  lascia  intendere   che   esso   debba
 considerarsi  retroattivo  o  che  possa  comunque riguardare fatti o
 eventi  accaduti  anteriormente  alla  sua  entrata  in  vigore.   In
 particolare,  le disposizioni di cui al primo e terzo comma dell'art.
 1 cit. hanno efficacia solo per le situazioni sorte dopo l'entrata in
 vigore della legge stessa (e ad ogni modo, ripetesi,  le  limitazioni
 poste   dalle   disposizioni   predette  non  sono  applicabili  alla
 fattispecie in esame).
    Cio'   stante,   l'applicazione,   in   favore   dei   ricorrenti,
 dell'istituto  dell'allineamento  stipendiale,  non  dovrebbe trovare
 alcun ostacolo (cfr., da ultimo, T.R.G.A.-Trento, sent. n. 321/92, la
 cui impostazione appare pienamente condivisibile).
    Ne' avrebbe rilevanza, ai fini  che  qui  interessano,  l'art.  2,
 quarto  comma,  del  d.l.  11  lulgio 1992, convertito nella legge 8
 agosto 1992, n. 359,  emanato  nelle  more  del  giudizio  e  che,  a
 decorrere dalla sua entrata in vigore, ha abrogato le disposizioni in
 materia   di  allineamento  stipendiale,  tra  cui  quella  contenuta
 nell'art. 4, terzo comma, del d.l.   n. 681/1982,  convertito  nella
 legge  n. 869/1992. L'abrogazione vale infatti soltanto per il futuro
 e non elimina i diritti sorti  nel  passato  in  virtu'  delle  norme
 abrogate.
    Questa  soluzione lineare e' pero' preclusa dall'entrata in vigore
 dell'art. 7, del d.l. 19 settembre 1992, n.  384,  convertito  nella
 legge  14  novembre  1992,  n.  438,  e che recita: "l'art. 2, quarto
 comma, del decreto-legge 11 luglio  1992,  n.  333,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel
 senso  che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge
 non  possono  essere  piu'  adottati  provvedimenti  di  allineamento
 stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992".
    Ora,  rilevato  preliminarmente:  a)  che  le  disposizioni di cui
 all'art. 2, quarto comma, e 7, settimo comma, citate,  configurandosi
 come     sopravvenuta     regolamentazione     normativa    (rectius:
 regolamentazione  abrogativa)  dell'istituto   dell'allineamento,   e
 riferendosi  esplicitamente anche alla situazione di coloro in favore
 dei  quali  erano  gia'  maturate  le  condizioni   di   applicazione
 dell'istituto medesimo senza che pero' si fosse ancora proceduto alle
 relative  operazioni  di allineamento, costituiscono jus superveniens
 del quale - contrariamente all'assunto dei ricorrenti  -  la  Sezione
 deve  necessariamente  tener  conto  ai  fini  della  soluzione della
 controversia, e b)  che  il  divieto  di  adottare  provvedimenti  di
 allineamento    stipendiale,    ancorche'    apparentemente   rivolto
 all'Amministrazione,  non  puo', in realta', non risultare vincolante
 anche per il giudice, posto che quest'ultimo  puo'  sostituirsi  alla
 p.a.  sempre  che  si  tratti  di  attivita'  suscettibili  di essere
 autonomamente   compiute   dall'amministrazione,   ma   non    anche,
 ovviamente,  quando  si  faccia  questione  del  compimento di atti e
 operazioni e, piu' in generale,  di  attivita'  non  piu'  consentite
 dalla  vigente  normativa;  cio' rilevato, si osserva che - come, del
 resto, e' gia' stato evidenziato dalla sezione (265/1993) - l'art. 7,
 settimo comma, cit., puo' venir interpretato in due possibili modi, e
 precisamente nel senso:
      1) che il diritto all'allineamento stipendiale e' stato  espunto
 dall'Ordinamento  anche  con  effetto  retroattivo (e cioe' anche nei
 confronti dei soggetti  per  i  quali  si  erano  gia'  compiutamente
 verificati i presupposti di applicazione dell'istituto medesimo senza
 che   pero'   si  fosse  proceduto  all'emissione  del  provvedimento
 allineativo);
      2) che e' stato  vietato  all'amministrazione  di  procedere  al
 compimento  di  operazioni  di  allineamento  stipendiale  riferite a
 situazioni pregresse, pur senza esplicitamente eliminare  il  diritto
 gia' maturato.
   Accedendo  all'ipotesi  interpretativa  sub  1),  si avrebbe che il
 legislatore ha inteso incidere retroattivamente su  diritti  pieni  e
 perfetti  gia'  maturati  nell'ambito di un rapporto continuativo non
 ancora  esaurito  -  configurandosi  invero   il   provvedimento   di
 allineamento  come atto dovuto e paritetico rispetto al beneficiario,
 e  che  tuttavia,  per  non  violare  esplicitamente   il   principio
 dell'affidamento  e  quello  della  certezza dei rapporti tra Stato e
 cittadini,  e'  ricorso  all'utilizzo  surrettizio   di   una   norma
 interpretativa accessoria.
    Senonche',  il  legislatore-interprete e' intervenuto senza che ve
 ne fosse alcun  bisogno:  la  disposizione  interpretata  non  rivela
 alcuna  ambiguita'  o  incertezza di significato, ne' era sorto alcun
 contrasto   interpretativo   giurisprudenziale   (del    resto    non
 ipotizzabile  nel breve tempo intercorso), talche' si puo' senz'altro
 dire che l'uso della tipica funzione  dell'interpretazione  autentica
 appare sviato dal suo fine istituzionale.
    L'ipotesi  interpretativa  sub 2) evidenzia il ricorso surrettizio
 ad una  legge-provvedimento  che  anch'essa  esorbita  dalla  propria
 funzione tipica.
    A   prescindere   dall'inadeguatezza   della  tecnica  legislativa
 adoperata, la portata precettiva ed il  carattere  strumentale  della
 norma  rivelano  l'intima  incoerenza  e  lo sviamento della funzione
 legislativa: il legislatore non si e' spinto fino  a  dichiarare  che
 l'intento della norma e' quello di sopprimere ex tunc un diritto gia'
 riconosciuto,  ma  nondimeno  lo  ha  svuotato  del  suo  contenuto e
 comunque della concreta possibilita' di  realizzarlo.  In  tal  modo,
 pero',  e'  stata  introdotta  una disposizione legislativa che vieta
 all'amministrazione il compimento di atti e  operazioni  contrari  al
 diritto  sostanziale  in  modo  tale  da  vanificare anche le pretese
 azionate in sede giurisdizionale, come nella presente fattispecie  in
 cui  il  ricorso e' stato proposto prima dell'entrata in vigore della
 norma abrogativa e sul presupposto, ripetesi, della gia'  intervenuta
 maturazione,  sin  dal  1989,  delle  condizioni  per  l'applicazione
 dell'allineamento stipendiale.
    In  altri  termini,  il legislatore, senza porsi alcun problema di
 diritto sostanziale, ordina all'amministrazione di non applicare piu'
 l'allineamento stipendiale.
    In   entrambi   i   significati,   il   collegio   dubita    della
 costituzionalita'  dell'art.  7,  settimo comma, citato, disposizione
 che si palesa illogica ed irragionevole e, quindi, in  contrasto  col
 postulato fondamentale di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Il  dato  dal quale occorre muovere per impostare correttamente la
 questione e' costituito dalla individuazione della ratio della norma.
    L'intento perseguito dal legislatore e' quello  -  evidente  -  di
 bloccare  ogni ulteriore applicazione dell'istituto dell'allineamento
 stipendiale fondato su norme gia'  abrogate,  e  per  far  questo  il
 legislatore  ha voluto incidere retroattivamente eliminando, ex tunc,
 ogni effetto delle norme abrogate.
    L'art. 7, settimo comma, come si e' detto, e' formulato come norma
 di interpretazione autentica. Occorre pero' stabilire se detto comma,
 dichiaratamente interpretativo dell'art. 2, quarto comma,  del  d.l.
 n.  333/1992, sia tale anche nell'effettivita' giuridica: a tal fine,
 una disposizione che si dichiari  interpretativa  ha  realmente  tale
 carattere  se  l'interpretazione data della norma precedente era gia'
 possibile prima, in base ai normali canoni di ermeneutica  giuridica.
 E'  questo  il  caso  di  una  norma  che  si  presti  a  due  o piu'
 interpretazioni,  tutte  possibili   e   logiche;   la   disposizione
 dichiaratasi   interpretativa   e'   tale   quando,   fra   le  dette
 interpretazioni  possibili,  indica  quella  che  e'  da  considerare
 effettivamente    conforme   alla   voluntas   legis.   Se,   invece,
 l'interpretazione data non era possibile prima, nel senso che sarebbe
 stata contraria  ai  normali  criteri  di  ermeneutica  e  di  logica
 giuridica,   la   disposizione   legislativa   che   si   dichiarasse
 interpretativa sarebbe in realta' innovativa (Cass. n. 2704/1990).
    Con riferimento al caso di specie, occorre, quindi,  stabilire  se
 l'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992, convertito nella legge
 359/1992, consentisse l'interpretazione datane dal successivo art. 7,
 settimo  comma,  del  d.l.    n. 384/1992, convertito nella legge n.
 438/1992, gia' prima che  quest'ultima  disposizione  fosse  emanata;
 consentisse,  cioe',  di essere interpretato nel senso che dalla data
 della sua  entrata  in  vigore  non  potessero  esser  piu'  adottati
 provvedimenti  di  allineamento  stipendiale ancorche' aventi effetti
 anteriori all'11 luglio 1992.
    A giudizio del collegio la risposta non puo' che essere  negativa,
 avuto  riguardo,  come si e' sopra visto, all'assenza di ambiguita' o
 comunque di incertezze di significato nel disposto di cui all'art. 2,
 quarto  comma,  citato,  il  quale  non  poteva  venir  razionalmente
 interpretato  nel senso della eliminazione della non riconoscibilita'
 del diritto  all'allineamento  anche  per  le  situazioni  maturatesi
 anteriormente all'11 luglio 1992. La dizione usata dal quarto comma -
 "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto .."
 -,  e  l'utilizzazione dei comuni princi'pi dell'ordinamento, per cui
 una norma trova applicazione solo per il futuro (art. 11 preleggi), a
 meno che essa  espressamente  non  stabilisca  diversamente,  rendono
 possibile   una   sola  interpretazione  giuridicamente  razionale  e
 corretta del  suindicato  quarto  comma,  interpretazione  che,  come
 visto,   fa   salvi  i  diritti  all'allineamento  gia'  perfezionati
 anteriormente all'11 luglio 1992, data di entrata in vigore del d.l.
 citato.
    In definitiva:
      se  l'art.  7,  settimo  comma,  fosse  norma  d'interpretazione
 autentica,  la  sua  efficacia   dovrebbe   arrestarsi   al   momento
 dell'entrata in vigore della disposizione interpretativa;
      in  realta', con l'entrata in vigore dell'art. 7, settimo comma,
 cit., e' stata introdotta nell'ordinamento  una  disposizione  avente
 natura  chiaramente  innovativa:  detta innovazione e' consistita - e
 consiste tuttora, laddove e'  previsto  il  divieto  di  adozione  di
 provvedimenti  di  allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti
 anteriori all'11 luglio 1992  -  nell'estendere  retroattivamente  la
 decorrenza  degli  effetti  dell'art.  2,  quarto comma, del d.l. n.
 333/1992 (vd. infra).
    Ora, la finalita' perseguita dalla norma interpretata era (ed  e')
 quella di contenere la spesa pubblica, con riferimento ai trattamenti
 stipendiali   del   pubblico   impiego:   finalita'  che  non  appare
 irragionevole o comunque sindacabile nella presente congiuntura della
 finanza pubblica.
    Cio' che appare invece irragionevole e' l'interpretazione additiva
 (o meglio: la  disposizione  innovativo-retroattiva)  successivamente
 introdotta:     l'irretroattivita'     costituisce    un    principio
 dell'ordinamento e la sua deroga si pone come  fatto  eccezionale  da
 utilizzare  solo  in presenza di una effettiva causa giustificatrice,
 prevalente sui rapporti preteriti  e  sul  principio  di  affidamento
 (cfr. Corte costituzionale, nn. 233/1988, 155/1990 e 380 del 1990).
    Qui   invece   sono   stati   lesi  vari  princi'pi  di  rilevanza
 costituzionale, come quelli dell'affidamento, della  trasparenza  nei
 rapporti  tra Stato e cittadino, della certezza dei diritti maturati,
 per il concreto soddisfacimento dei quali gli interessati coltivavano
 legittime   aspettative,    della    correttezza    della    funzione
 giurisdizionale chiamata ad accertare la sussistenza di tali diritti,
 e   paralizzata  anch'essa  nel  lineare  svolgimento  delle  proprie
 attribuzioni dall'intervento del legislatore, mediante la finzione di
 una norma d'interpretazione autentica che ha, in realta', come si  e'
 visto, contenuto innovativo-retroattivo.
    La   retroattivita'  del  settimo  comma  produce  in  particolare
 un'ingiusta disparita' di trattamento, facendo dipendere il  concreto
 riconoscimento  del  diritto all'allineamento da un fattore del tutto
 casuale,   vale   a   dire   dall'adozione,   o   meno,   da    parte
 dell'amministrazione,  in  data  anteriore  all'11  luglio  1992,  di
 provvedimenti allineativi riguardanti dipedenti che, a  quella  data,
 avevano  gia'  maturato  le  condizioni  per  vedersi riconosciuto il
 relativo  diritto;  con  la  conseguenza  che  situazioni   identiche
 oggettivamente e soggettivamente verrebbero a ricevere un trattamento
 difforme, sulla base di circostanze ed elementi del tutto estranei al
 contenuto  del diritto medesimo, e in palese violazione del principio
 di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    L'art.  7,  settimo  comma,  determina,  in  altre   parole,   una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra coloro che, alla stregua
 del medesimo presupposto, avevano gia' ottenuto l'applicazione in via
 amministrativa   dell'allineamento   stipendiale,   o   una  sentenza
 favorevole passata in giudicato  (rapporti  esauriti),  e  tutti  gli
 altri (rapporti non ancora esauriti).
    Il  Collegio  si  rende  conto dell'esigenza di contenimento della
 spesa pubblica sottesa a tale disposizione,  ma  la  discrezionalita'
 legislativa  poteva  essere  esercitata  in  modo  meno  criticabile:
 l'eliminazione  dell'istituto  dell'allineamento   era   gia'   stata
 raggiunta  per  il  futuro;  per  il  passato  la  necessita'  di non
 espandere  la  spesa  pubblica  avrebbe   potuto   giustificare   una
 temporanea  sospensione  dell'applicazione  dell'istituto, oppure una
 graduazione dell'entita' delle relative corresponsioni retributive.
    L'abrogazione delle disposizioni  che  prevedono  automatismi  che
 influenzano  il  trattamento economico in materia di pubblico impiego
 e' bensi' prevista anche dall'art. 2, lett. o), della legge-delega 23
 ottobre 1992, n. 421 (recante la c.d.  privatizzazione  del  pubblico
 impiego),  pero'  previa  sostituzione  con  disposizioni  di accordi
 contrattuali  che  valorizzino   la   produttivita'   individuale   e
 collettiva.  Tale  criterio  e'  stato  attuato attraverso l'art. 72,
 secondo comma, del d.P.R. 3 febbraio 1993, n.  29,  che  sposta  tale
 effetto  abrogativo  al  momento  della  sottoscrizione  dei prossimi
 contratti collettivi.
    Si  evidenzia  quindi  una   sostanziale   contraddittorieta'   di
 comportamenti   da   parte   del   legislatore,   nell'emanazione  di
 disposizioni analoghe e ravvicinate nel tempo.
    Oltretutto,  la  particolarita'   del   rapporto   d'impiego   dei
 magistrati (cfr. art. 2, lett. e), della legge-delega 421/1992 e art.
 2,  quarto  comma, del d.P.R. 29/1993) potrebbe anche giustificare il
 mantenimento del particolare istituto secondo la disciplina, peraltro
 non ancora espressamente abrogata, della legge n. 265/1991.
    In  ogni  caso,   se   l'abrogazione   delle   norme   concernenti
 l'allineamento  stipendiale  e'  avvenuta  a decorrere dall'11 luglio
 1992,  il  blocco  delle  operazioni  di  allineamento   riferito   a
 situazioni   pregresse  e'  da  ritenersi  privo  di  giustificazione
 giuridica.
    Esclusa la materia penale, la Costituzione non vieta  l'emanazione
 di   provvedimenti   legislativi   retroattivi,   ma   essi   debbono
 corrispondere al generale criterio di ragionevolezza  e  non  debbono
 violare  gli  altri  princi'pi costituzionali: condizioni queste che,
 per le ragioni suesposte, non sembrano esser state rispettate.
    Sotto gli anzidetti profili e' quindi  ravvisabile  la  violazione
 dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza, di imparzialita' e di
 buon andamento dell'amministrazione, nonche' di pienezza della tutela
 giurisdizionale:  princi'pi  recati  dagli  artt.  3,  97 e 113 della
 Costituzione.
    In considerazione, dunque, della non manifesta infondatezza (oltre
 che della  rilevanza,  risultando  il  ricorso,  come  si  e'  visto,
 infondato,  sul  piano della legittimita' ordinaria), della questione
 di  legittimita'  costituzionale  dedotta,   deve   essere   disposta
 l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte costituzionale, e
 sospeso il giudizio in corso.