IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 279/1992, proposto da Bellini Melania, Di Pasquale Riccardo, Fasanelli Luigi, Gibelli Andrea, Lamorgese Antonio Pietro, Martani Marco, Pantalone Pasquale, Rosina Enzo, Rossi Roberto, Tamburini Giulio, Villani Gianfranco, Pertile Roberto, Ascione Guglielmo, Avezzu' Emma, Battistacci Andrea, Chiappani Antonio, Chiriaco' Maria Antonietta, Cicerchia Luciana, De Martiis Paola, Deantoni Giulio, Del Porto Raffaele, Dughi Marina, Macca Benedetto, Mirenda Andrea, Morelli Francesca, Ondei Giuseppe, Pianta Donato, Piantoni Francesco, Sabbadini Gianni, Sandrini Enrico Giuseppe, Spano' Roberto, Sparta' Aldo, Terzi Anna Luisa, Toselli Raffaele, Volpe Gianpaolo, Zaza Carlo, rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Porqueddu, ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in Brescia, via Vittorio Emanuale II, n. 1; contro il Ministero di Grazia e giustizia ed il Ministero del tesoro, in persona dei rispettivi Ministri pro-tempore, rappresentati e difesi dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Brescia, domiciliataria ex lege in via Solferino, 20/C; per l'accertamento del diritto dei ricorrenti, magistrati dell'ordine giudiziario, all'allineamento stipendiale sulla posizione retributiva del collega Antonio Francesco Esposito ex art. 4, terzo comma, del d.l. 27 settembre 1982 n. 681, convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869. Visto il ricorso, notificato il 9 marzo 1992 e depositato presso la segreteria il giorno 12 successivo, con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in- timate; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore, alla pubblica udienza del 26 febbraio 1993, il referendario M. Buricelli; Uditi, altresi', gli avv.ti: G. Porqueddu per i ricorrenti, e G. De Bellis per le Amministrazioni statali intimate; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O I ricorrenti in epigrafe, magistrati dell'ordine giudiziario, espongono di precedere, nel ruolo di anzianita', il loro collega dott. Antonio Francesco Esposito il quale, nominato uditore giudiziario nel 1989, all'atto del passaggio in magistratura ordinaria ha conservato, ai sensi dell'art. 12, terzo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079, il piu' favorevole trattamento economico maturato nella precedente carriera di referendario parlamentare presso il Senato della Repubblica. Chiedono, pertanto, che - ai sensi degli artt. 4, terzo comma, del d.l. n. 681/1982, convertito nella legge n. 869/1982, e 1, della legge n. 265/1991, venga loro riconosciuto il diritto di percepire lo stesso trattamento economico-retributivo goduto dall'anzidetto magistrato, con la condanna delle amministrazioni alla corresponsione delle relative differenze retributive, con interessi e rivalutazione monetaria. A sostegno dell'impugnativa i ricorrenti deducono, in particolare, che l'istituto dell'allineamento stipendiale - rimedio di carattere generale del pubblico impiego, volto ad evitare situazioni di squilibrio retributivo - e' conforme a princi'pi costituzionali per i quali, nell'ambito della magistratura ordinaria, a parita' di funzioni svolte deve corrispondere l'attribuzione dello stesso trattamento economico. Soggiungono, inoltre, che il riconoscimento del diritto all'allineamento stipendiale non trova ostacolo nella legge n. 265/1991. Nella memoria 12 febbraio 1993 e nella odierna udienza di discussione il difensore dei ricorrenti ha poi fatto presente che la disposizione di cui all'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992, convertito nella legge n. 359/1992, nonche' la norma - d'interpretazione autentica del comma citato - di cui all'art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992, convertito nella legge n. 438/1992, recanti l'abolizione dell'istituto dell'allineamento stipendiale, non avrebbero inciso sulla vigenza perdurante dell'art. 1 della legge n. 265/1991, con il quale sarebbe stata confermata l'applicabilita' dell'istituto dell'allineamento stipendiale per il personale di magistratura ed equiparato. In ogni caso - e' stato aggiunto -, si tratterebbe di disposizioni prive di efficacia retroattiva, e questo varrebbe anche per l'art. 7, settimo comma, citato, norma avente carattere sostanzialmente innovativo, e come tale efficace solo per il futuro. Una diversa impostazione, comunque, ad avviso della difesa dei ricorrenti non potrebbe non ingenerare sospetti di incostituzionalita' per violazione degli artt. 3, 36, 97, 102 e 107 della Costituzione. Le amministrazioni statali intimate si sono costituite in giudizio ed hanno controdedotto, osservando in particolare che: l'istituto dell'allineamento stipendiale e' stato soppresso retroattivamente per effetto dell'entrata in vigore delle disposizioni di cui agli artt. 2, quarto comma, d.l. n. 333/1992 e 7, settimo comma, d.l. n. 384/1992: di qui, l'infondatezza della pretesa fatta valere dagli interessati; il ricorso, comunque, si sarebbe dovuto egualmente respingere, in considerazione dell'applicabilita', al caso in esame, delle disposizioni di cui all'art. 1, primo e terzo comma, della legge n. 265/1991, preclusive all'accoglimento delle domande dei ricorrenti; nonche' in considerazione della natura interpretativa e, quindi, retroattiva, delle disposizioni suddette. D I R I T T O Nel far valere la pretesa all'allineamento stipendiale, i magistrati ricorrenti premettono di precedere, nel ruolo di anzianita', il collega Antonio Francesco Esposito: detta circostanza e' pacifica, risultando esser stata documentalmente comprovata per la quasi totalita' degli interessati, e non essendo stata contestata dalle amministrazioni resistenti per quanto attiene alle posizioni dei ricorrenti Di Pasquale, Lamorgese, Ondei e Spano'. La maturazione delle condizioni necessarie e sufficienti per l'applicazione, in favore dei ricorrenti, dell'allineamento stipendiale, si sarebbe realizzata nel 1989, allorche' il dott. Antonio Francesco Esposito fu nominato uditore giudiziario conservando il piu' favorevole trattamento economico maturato nella precedente carriera di referendario parlamentare presso il Senato della Repubblica. Cio' preliminarmente osservato, occorre premettere altresi' che l'istituto dell'allineamento stipendiale e' stato introdotto dall'art. 4, terzo comma, secondo periodo, del d.l. 27 settembre 1982, n. 681, convertito nella legge 20 novembre 1982, n. 869, ai sensi del quale: "al personale con stipendio inferiore a quello spettante al collega con pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente, e' attribuito lo stipendio di quest'ultimo". Tale disposizione, dettata espressamente per il personale militare, e' stata interpretata, dalla giurisprudenza successivamente venutasi a formare sul punto, come principio, o rimedio, di carattere generale, applicabile anche ai dirigenti civili dello Stato e ai magistrati, e idonea a sancire parita' di trattamento economico a parita' di qualifica e di anzianita' nell'ambito del medesimo ruolo. In numerose pronunce si e' osservato che l'istituto dell'allineamento mira ad evitare ingiustificate disparita' di trattamento - a danno del dipendente avente pari o maggiore anzianita' - derivanti dalla conservazione di trattamenti economico-retributivi piu' favorevoli in capo al dipendente con anzianita' pari o minore rispetto al collega che lo precede (cfr. Cons. St., VI, 26 marzo 1990, n. 410; Corte dei conti, sez. Contr. St., 13 luglio 1984, n. 1472, 28 settembre 1984, n. 1479, 7 febbraio 1985, n. 1518; T.R.G.A.-Trento, 174/1989 e 321/1992; T.A.R. Lombardia - Milano, I, 1054/1988; T.A.R. Puglia - Lecce, 315/1989; T.A.R. Sicilia - Palermo, I, 326/1989, Catania, I, 640/1990; T.A.R. Lazio, I, 739/1991). Tale principio, variamente inteso ed applicato dalla giurisprudenza, che ne ha via via definito gli specifici presupposti ed ambiti di applicazione, e' stato recentemente confermato, ma anche delimitato, per quanto riguarda il personale di magistratura, dalla legge 8 agosto 1991, n. 265. Nella fattispecie all'esame del Collegio rileverebbero il primo ed il terzo comma dell'art. 1, disposizioni che, ad avviso della difesa delle amministrazioni resistenti, precluderebbero l'accoglimento del ricorso: il primo comma esclude, in sostanza, la possibilita' di allineamenti stipendiali con riferimento e in relazione al "mantenimento di piu' favorevoli trattamenti economici conseguiti in settori diversi dalle carriere dirigenziali dello Stato o equiparate"; il terzo comma, seguendo l'interpretazione che appare preferibile, esclude, "nel caso di accesso a carriere di magistratura mediante concorso di primo grado", l'applicazione di trattamenti di maggior favore che nella precedente carriera erano stati a loro volta acquisiti mediante allineamento; esclude, cioe', per la magistratura ordinaria, l'estensione, a beneficio dei magistrati con pari e maggiore anzianita', del piu' favorevole trattamento economico-retributivo eventualmente goduto dal collega meno anziano, all'atto del passaggio di carriera, per effetto dell'allineamento stipendiale da quest'ultimo conseguito in una precedente carriera. Nessuna di queste limitazioni riguarda, tuttavia, il caso all'esame della sezione: non certo ultima, poiche' il trattamento stipendiale di maggior favore conservato dal dott. Esposito all'atto del passaggio di carriera deriva non da un allineamento ottenuto nella precedente carriera di referendario al Senato, ma semplicemente dalla maggiore entita' del relativo trattamento economico, come e' pacifico; ma nemmeno la prima, poiche' la carriera di referendario parlamentare presso il Senato della Repubblica deve ritenersi (equiparata a) carriera direttivo-dirigenziale statale (conf. Cons. St., IV, n. 64/1985 e VI, n. 70/1987), tant'e' vero che, altrimenti, all'atto del passaggio di carriera non sarebbe stato applicato, in favore del dott. Esposito, l'art. 12, terzo comma, del d.P.R. 1079/1970, concernente il mantenimento, nella nuova carriera statale, del migliore trattamento economico precedentemente goduto dal dipendente (a ulteriore conferma dell'assimilazione suddetta si veda, altresi', l'art. 19 p. 3) della legge n. 186/1982, relativo all'ammissione al concorso, per titoli ed esami, per la nomina a consigliere di Stato). In ogni caso, il presupposto da cui sorgerebbe il diritto al preteso allineamento stipendiale si e' verificato nel 1989, anteriormente, quindi, all'entrata in vigore della legge n. 265/1991 che, per la parte che qui interessa, non puo' ritenersi retroattiva. Obietta, al riguardo, l'avvocatura dello Stato, che la legge n. 265/1991 avrebbe natura interpretativa e, pertanto, si applicherebbe anche alle situazioni perfezionatesi in data anteriore alla sua entrata in vigore. L'affermazione della difesa erariale non puo' esser condivisa. La disposizione di cui all'art. 1, terzo comma, della legge 265 citata, appare chiaramente innovativa, risultando, come si e' sopra visto, preordinata - secondo l'interpretazione maggiormente attendibile (vd. supra) - ad impedire, per la prima volta, per il caso di accesso alla magistratura ordinaria, l'estensione, a beneficio dei magistrati con pari o maggiore anzianita', del trattamento di maggior favore goduto dal collega meno anziano, all'atto del passaggio di carriera, per effetto dell'allineamento stipendiale precedentemente ottenuto. In ogni caso, affinche' una disposizione possa qualificarsi come interpretativa, deve esistere una diversa precedente norma suscettibile di venir (ragionevolmente) interpretata in diversi modi: orbene, nel caso di specie, una limitazione come quella contenuta nel citato terzo comma non poteva ragionevolmente desumersi dalla normativa - asseritamente - fatta oggetto di interpretazione e, cioe', dall'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 681/1982. La disposizione di cui all'art. 1, primo comma, della legge n. 265/1991, si e' limitata, dal canto proprio, a confermare e a circoscrivere l'ambito di applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale, implicitamente riconoscendone la portata generale e la derivazione dalla fonte costituita dall'art. 4, terzo comma, citato. D'altronde, il legislatore del 1991, quando ha inteso dettare disposizioni aventi natura interpretativa, e' intervenuto con formulazioni esplicite (cfr. art. 1, quarto comma, legge n. 265: "per importo corrispondente .. deve intendersi ..", anche se dalla successiva previsione di cui al sesto comma, concernente la conservazione ad personam degli eventuali maggiori trattamenti spettanti o in godimento, conseguenti ad interpretazioni difformi da quelle stabilite dal quarto comma, si trae il convincimento che la disposizione contenuta in quest'ultimo comma non incide sulle situazioni pregresse). In definitiva, nessuna disposizione dell'art. 1 della legge n. 265/1991 lascia intendere che esso debba considerarsi retroattivo o che possa comunque riguardare fatti o eventi accaduti anteriormente alla sua entrata in vigore. In particolare, le disposizioni di cui al primo e terzo comma dell'art. 1 cit. hanno efficacia solo per le situazioni sorte dopo l'entrata in vigore della legge stessa (e ad ogni modo, ripetesi, le limitazioni poste dalle disposizioni predette non sono applicabili alla fattispecie in esame). Cio' stante, l'applicazione, in favore dei ricorrenti, dell'istituto dell'allineamento stipendiale, non dovrebbe trovare alcun ostacolo (cfr., da ultimo, T.R.G.A.-Trento, sent. n. 321/92, la cui impostazione appare pienamente condivisibile). Ne' avrebbe rilevanza, ai fini che qui interessano, l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11 lulgio 1992, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, emanato nelle more del giudizio e che, a decorrere dalla sua entrata in vigore, ha abrogato le disposizioni in materia di allineamento stipendiale, tra cui quella contenuta nell'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 681/1982, convertito nella legge n. 869/1992. L'abrogazione vale infatti soltanto per il futuro e non elimina i diritti sorti nel passato in virtu' delle norme abrogate. Questa soluzione lineare e' pero' preclusa dall'entrata in vigore dell'art. 7, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438, e che recita: "l'art. 2, quarto comma, del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, va interpretato nel senso che dalla data di entrata in vigore del predetto decreto-legge non possono essere piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992". Ora, rilevato preliminarmente: a) che le disposizioni di cui all'art. 2, quarto comma, e 7, settimo comma, citate, configurandosi come sopravvenuta regolamentazione normativa (rectius: regolamentazione abrogativa) dell'istituto dell'allineamento, e riferendosi esplicitamente anche alla situazione di coloro in favore dei quali erano gia' maturate le condizioni di applicazione dell'istituto medesimo senza che pero' si fosse ancora proceduto alle relative operazioni di allineamento, costituiscono jus superveniens del quale - contrariamente all'assunto dei ricorrenti - la Sezione deve necessariamente tener conto ai fini della soluzione della controversia, e b) che il divieto di adottare provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' apparentemente rivolto all'Amministrazione, non puo', in realta', non risultare vincolante anche per il giudice, posto che quest'ultimo puo' sostituirsi alla p.a. sempre che si tratti di attivita' suscettibili di essere autonomamente compiute dall'amministrazione, ma non anche, ovviamente, quando si faccia questione del compimento di atti e operazioni e, piu' in generale, di attivita' non piu' consentite dalla vigente normativa; cio' rilevato, si osserva che - come, del resto, e' gia' stato evidenziato dalla sezione (265/1993) - l'art. 7, settimo comma, cit., puo' venir interpretato in due possibili modi, e precisamente nel senso: 1) che il diritto all'allineamento stipendiale e' stato espunto dall'Ordinamento anche con effetto retroattivo (e cioe' anche nei confronti dei soggetti per i quali si erano gia' compiutamente verificati i presupposti di applicazione dell'istituto medesimo senza che pero' si fosse proceduto all'emissione del provvedimento allineativo); 2) che e' stato vietato all'amministrazione di procedere al compimento di operazioni di allineamento stipendiale riferite a situazioni pregresse, pur senza esplicitamente eliminare il diritto gia' maturato. Accedendo all'ipotesi interpretativa sub 1), si avrebbe che il legislatore ha inteso incidere retroattivamente su diritti pieni e perfetti gia' maturati nell'ambito di un rapporto continuativo non ancora esaurito - configurandosi invero il provvedimento di allineamento come atto dovuto e paritetico rispetto al beneficiario, e che tuttavia, per non violare esplicitamente il principio dell'affidamento e quello della certezza dei rapporti tra Stato e cittadini, e' ricorso all'utilizzo surrettizio di una norma interpretativa accessoria. Senonche', il legislatore-interprete e' intervenuto senza che ve ne fosse alcun bisogno: la disposizione interpretata non rivela alcuna ambiguita' o incertezza di significato, ne' era sorto alcun contrasto interpretativo giurisprudenziale (del resto non ipotizzabile nel breve tempo intercorso), talche' si puo' senz'altro dire che l'uso della tipica funzione dell'interpretazione autentica appare sviato dal suo fine istituzionale. L'ipotesi interpretativa sub 2) evidenzia il ricorso surrettizio ad una legge-provvedimento che anch'essa esorbita dalla propria funzione tipica. A prescindere dall'inadeguatezza della tecnica legislativa adoperata, la portata precettiva ed il carattere strumentale della norma rivelano l'intima incoerenza e lo sviamento della funzione legislativa: il legislatore non si e' spinto fino a dichiarare che l'intento della norma e' quello di sopprimere ex tunc un diritto gia' riconosciuto, ma nondimeno lo ha svuotato del suo contenuto e comunque della concreta possibilita' di realizzarlo. In tal modo, pero', e' stata introdotta una disposizione legislativa che vieta all'amministrazione il compimento di atti e operazioni contrari al diritto sostanziale in modo tale da vanificare anche le pretese azionate in sede giurisdizionale, come nella presente fattispecie in cui il ricorso e' stato proposto prima dell'entrata in vigore della norma abrogativa e sul presupposto, ripetesi, della gia' intervenuta maturazione, sin dal 1989, delle condizioni per l'applicazione dell'allineamento stipendiale. In altri termini, il legislatore, senza porsi alcun problema di diritto sostanziale, ordina all'amministrazione di non applicare piu' l'allineamento stipendiale. In entrambi i significati, il collegio dubita della costituzionalita' dell'art. 7, settimo comma, citato, disposizione che si palesa illogica ed irragionevole e, quindi, in contrasto col postulato fondamentale di cui all'art. 3 della Costituzione. Il dato dal quale occorre muovere per impostare correttamente la questione e' costituito dalla individuazione della ratio della norma. L'intento perseguito dal legislatore e' quello - evidente - di bloccare ogni ulteriore applicazione dell'istituto dell'allineamento stipendiale fondato su norme gia' abrogate, e per far questo il legislatore ha voluto incidere retroattivamente eliminando, ex tunc, ogni effetto delle norme abrogate. L'art. 7, settimo comma, come si e' detto, e' formulato come norma di interpretazione autentica. Occorre pero' stabilire se detto comma, dichiaratamente interpretativo dell'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992, sia tale anche nell'effettivita' giuridica: a tal fine, una disposizione che si dichiari interpretativa ha realmente tale carattere se l'interpretazione data della norma precedente era gia' possibile prima, in base ai normali canoni di ermeneutica giuridica. E' questo il caso di una norma che si presti a due o piu' interpretazioni, tutte possibili e logiche; la disposizione dichiaratasi interpretativa e' tale quando, fra le dette interpretazioni possibili, indica quella che e' da considerare effettivamente conforme alla voluntas legis. Se, invece, l'interpretazione data non era possibile prima, nel senso che sarebbe stata contraria ai normali criteri di ermeneutica e di logica giuridica, la disposizione legislativa che si dichiarasse interpretativa sarebbe in realta' innovativa (Cass. n. 2704/1990). Con riferimento al caso di specie, occorre, quindi, stabilire se l'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992, convertito nella legge 359/1992, consentisse l'interpretazione datane dal successivo art. 7, settimo comma, del d.l. n. 384/1992, convertito nella legge n. 438/1992, gia' prima che quest'ultima disposizione fosse emanata; consentisse, cioe', di essere interpretato nel senso che dalla data della sua entrata in vigore non potessero esser piu' adottati provvedimenti di allineamento stipendiale ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992. A giudizio del collegio la risposta non puo' che essere negativa, avuto riguardo, come si e' sopra visto, all'assenza di ambiguita' o comunque di incertezze di significato nel disposto di cui all'art. 2, quarto comma, citato, il quale non poteva venir razionalmente interpretato nel senso della eliminazione della non riconoscibilita' del diritto all'allineamento anche per le situazioni maturatesi anteriormente all'11 luglio 1992. La dizione usata dal quarto comma - "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto .." -, e l'utilizzazione dei comuni princi'pi dell'ordinamento, per cui una norma trova applicazione solo per il futuro (art. 11 preleggi), a meno che essa espressamente non stabilisca diversamente, rendono possibile una sola interpretazione giuridicamente razionale e corretta del suindicato quarto comma, interpretazione che, come visto, fa salvi i diritti all'allineamento gia' perfezionati anteriormente all'11 luglio 1992, data di entrata in vigore del d.l. citato. In definitiva: se l'art. 7, settimo comma, fosse norma d'interpretazione autentica, la sua efficacia dovrebbe arrestarsi al momento dell'entrata in vigore della disposizione interpretativa; in realta', con l'entrata in vigore dell'art. 7, settimo comma, cit., e' stata introdotta nell'ordinamento una disposizione avente natura chiaramente innovativa: detta innovazione e' consistita - e consiste tuttora, laddove e' previsto il divieto di adozione di provvedimenti di allineamento stipendiale, ancorche' aventi effetti anteriori all'11 luglio 1992 - nell'estendere retroattivamente la decorrenza degli effetti dell'art. 2, quarto comma, del d.l. n. 333/1992 (vd. infra). Ora, la finalita' perseguita dalla norma interpretata era (ed e') quella di contenere la spesa pubblica, con riferimento ai trattamenti stipendiali del pubblico impiego: finalita' che non appare irragionevole o comunque sindacabile nella presente congiuntura della finanza pubblica. Cio' che appare invece irragionevole e' l'interpretazione additiva (o meglio: la disposizione innovativo-retroattiva) successivamente introdotta: l'irretroattivita' costituisce un principio dell'ordinamento e la sua deroga si pone come fatto eccezionale da utilizzare solo in presenza di una effettiva causa giustificatrice, prevalente sui rapporti preteriti e sul principio di affidamento (cfr. Corte costituzionale, nn. 233/1988, 155/1990 e 380 del 1990). Qui invece sono stati lesi vari princi'pi di rilevanza costituzionale, come quelli dell'affidamento, della trasparenza nei rapporti tra Stato e cittadino, della certezza dei diritti maturati, per il concreto soddisfacimento dei quali gli interessati coltivavano legittime aspettative, della correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare la sussistenza di tali diritti, e paralizzata anch'essa nel lineare svolgimento delle proprie attribuzioni dall'intervento del legislatore, mediante la finzione di una norma d'interpretazione autentica che ha, in realta', come si e' visto, contenuto innovativo-retroattivo. La retroattivita' del settimo comma produce in particolare un'ingiusta disparita' di trattamento, facendo dipendere il concreto riconoscimento del diritto all'allineamento da un fattore del tutto casuale, vale a dire dall'adozione, o meno, da parte dell'amministrazione, in data anteriore all'11 luglio 1992, di provvedimenti allineativi riguardanti dipedenti che, a quella data, avevano gia' maturato le condizioni per vedersi riconosciuto il relativo diritto; con la conseguenza che situazioni identiche oggettivamente e soggettivamente verrebbero a ricevere un trattamento difforme, sulla base di circostanze ed elementi del tutto estranei al contenuto del diritto medesimo, e in palese violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. L'art. 7, settimo comma, determina, in altre parole, una ingiustificata disparita' di trattamento tra coloro che, alla stregua del medesimo presupposto, avevano gia' ottenuto l'applicazione in via amministrativa dell'allineamento stipendiale, o una sentenza favorevole passata in giudicato (rapporti esauriti), e tutti gli altri (rapporti non ancora esauriti). Il Collegio si rende conto dell'esigenza di contenimento della spesa pubblica sottesa a tale disposizione, ma la discrezionalita' legislativa poteva essere esercitata in modo meno criticabile: l'eliminazione dell'istituto dell'allineamento era gia' stata raggiunta per il futuro; per il passato la necessita' di non espandere la spesa pubblica avrebbe potuto giustificare una temporanea sospensione dell'applicazione dell'istituto, oppure una graduazione dell'entita' delle relative corresponsioni retributive. L'abrogazione delle disposizioni che prevedono automatismi che influenzano il trattamento economico in materia di pubblico impiego e' bensi' prevista anche dall'art. 2, lett. o), della legge-delega 23 ottobre 1992, n. 421 (recante la c.d. privatizzazione del pubblico impiego), pero' previa sostituzione con disposizioni di accordi contrattuali che valorizzino la produttivita' individuale e collettiva. Tale criterio e' stato attuato attraverso l'art. 72, secondo comma, del d.P.R. 3 febbraio 1993, n. 29, che sposta tale effetto abrogativo al momento della sottoscrizione dei prossimi contratti collettivi. Si evidenzia quindi una sostanziale contraddittorieta' di comportamenti da parte del legislatore, nell'emanazione di disposizioni analoghe e ravvicinate nel tempo. Oltretutto, la particolarita' del rapporto d'impiego dei magistrati (cfr. art. 2, lett. e), della legge-delega 421/1992 e art. 2, quarto comma, del d.P.R. 29/1993) potrebbe anche giustificare il mantenimento del particolare istituto secondo la disciplina, peraltro non ancora espressamente abrogata, della legge n. 265/1991. In ogni caso, se l'abrogazione delle norme concernenti l'allineamento stipendiale e' avvenuta a decorrere dall'11 luglio 1992, il blocco delle operazioni di allineamento riferito a situazioni pregresse e' da ritenersi privo di giustificazione giuridica. Esclusa la materia penale, la Costituzione non vieta l'emanazione di provvedimenti legislativi retroattivi, ma essi debbono corrispondere al generale criterio di ragionevolezza e non debbono violare gli altri princi'pi costituzionali: condizioni queste che, per le ragioni suesposte, non sembrano esser state rispettate. Sotto gli anzidetti profili e' quindi ravvisabile la violazione dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza, di imparzialita' e di buon andamento dell'amministrazione, nonche' di pienezza della tutela giurisdizionale: princi'pi recati dagli artt. 3, 97 e 113 della Costituzione. In considerazione, dunque, della non manifesta infondatezza (oltre che della rilevanza, risultando il ricorso, come si e' visto, infondato, sul piano della legittimita' ordinaria), della questione di legittimita' costituzionale dedotta, deve essere disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, e sospeso il giudizio in corso.